La stima dei dipendenti da oppiacei in Italia sono circa 350 mila persone, di cui circa solo 140 mila in trattamento. Si sta osservando un aumento dell’età media, ora pari a 25-26 anni, con picchi che arrivano a 60 anni. Purtroppo non si hanno dati relativi alle persone che non riescono ad accedere alle cure (il 50% in Europa su 1,5 milioni di dipendenti da oppiacei), ma il tempo di latenza fra l’inizio della dipendenza e il momento in cui la persona dipendente richiede di accedere ai servizi di disintossicazione è pari a otto anni.
Tale situazione di ritardo nell’affrontare l’emergenza della dipendenza di oppiacei non risiede solamente nella mancanza di fondi adeguati per rendere realmente efficaci i servi di disintossicazione, ma anche nella vergogna che il paziente prova nell’ammettere di soffrire una patologia derivante da un motivo socialmente non accettabile come la dipendenza da oppiacei. Soprattutto la latenza è un periodo troppo lungo, in quanto la prognosi è legata in modo direttamente proporzionale all’accesso ai percorsi di cura: più l’intervento è precoce migliore è la prognosi.
Fortunatamente anche in Italia a breve saranno disponibili nuove terapie già in uso in Nord Europa, Australia, Canada e Usa, che permettono una maggiore flessibilità di trattamento e facilitano la terapia ai pazienti. Si tratta di microiniezioni con rilascio ritardato fino a 7 o 28 giorni, oppure microcapsule sottocutanee con rilascio ritardato fino a 6 mesi. Il principio attivo è lo stesso, ma il rilascio del farmaco è controllato e costante nelle 24 ore, facendo la differenza nell’efficacia nel contrastare la dipendenza. L’intenzione è far sì che queste nuove formulazioni migliorino la prognosi, soprattutto nei giovani, e che anche quel 50% di pazienti che attualmente non si rivolge ai servizi di recupero riesca a farlo, soprattutto in giovane età.
Dino Biselli
Source: Quotidianosanita.it