Seconda ondata di COVID-19: l’Europa è pronta?

In questo momento i paesi europei si trovano nella coda della “prima ondata” di infezione di COVID-19, ma alcuni governi europei e alcune reti continentali di professionisti e operatori medici si stanno già interrogando su quali strategie si stiano adottando per prevenire ed affrontare una nuova ondata di Coronavirus.

Un punto cruciale comune a quasi tutti i sistemi sanitari europei è rappresentato dalla maggiore disponibilità di personale medico, soprattutto specialisti di terapia intensiva: in alcuni casi si sta ricorrendo ad un loro reclutamento per l’impiego attivo (arruolando anche studenti di medicina e richiamato medici in pensione), in altri alla creazione di una riserva da impiegare in caso di emergenza, in altre ad una migliore organizzazione che permetta il loro impiego in maniera “flessibile” su tutto il territorio.

Tuttavia, prendendo come riferimento il caso italiano, la Società italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI) segnala che l’Italia potrebbe avere la necessità di dover aumentare del 50% il numero di anestesisti, di esperti di rianimazione e di altri medici che lavorano in terapia intensiva. Molti di queste figure professionali hanno frequentato corsi intensivi su come gestire i pazienti con COVID-19, affidandogli poi compiti di minore responsabilità, come lavare e voltare i pazienti, controllare i polmoni o guardare le radiografie. Gli specialisti in terapia intensiva hanno continuato a fare il lavoro più delicato, come maneggiare i tubi nella gola dei pazienti o regolare la ventilazione meccanica. A seguito di questa loro esperienza, questi professionisti potrebbero essere ulteriormente formati in tempo utile per l’arrivo della nuova ondata.

La SIAARTI propone di integrare nei reparti i medici che frequentano i corsi di specializzazione in medicina intensiva e che attualmente stanno devono affrontare gli ultimi due anni della loro formazione quinquennale.

Scarso consenso ha, invece, avuto l’esperimento del trasferimento di personale medico transfrontaliero nei paesi più colpiti: nonostante si trattasse di un’iniziativa promossa dalla Commissione Europea (che ha finanziato i trasferimenti transfrontalieri), le barriere linguistiche hanno reso questa soluzione poco agevole. 

Infine, esiste l’opzione del trasferimento di alcuni pazienti da un Paese all’altro per ricevere le cure necessarie: tuttavia, i rischi legati al trasporto e alle complicazioni logistiche, portano a considerare questa soluzione come un’extrema ratio.

 

Dino Biselli

Source: Daily Health Industry